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I 400 metri con ostacoli hanno regalato all'atletica leggera italiana molte soddisfazioni. Cento anni fa, il 19 dicembre 1923, nasceva uno degli interpreti di questa bellissima disciplina del nostro sport. Erede di Luigi Facelli, l'uomo di Acqui Terme con quattro edizioni di Giochi Olimpici disputate, il campione che godette dell'amicizia del britannico Lord Burghley, l'uomo che detenne il primato d'Europa della specialità. Armando Filiput, nativo di quella contesa e travagliata parte nord orientale della nostra penisola, ne ricevette il testimone in una ideale staffetta, per poi passarlo anni dopo a Salvatore Morale, e poi a Roberto Frinolli, e poi a Fabrizio Mori, e poi e poi...ai bravi ragazzi di ieri e d'oggi. Son passati cento anni dalla sua nascita, e la sua città lo ha voluto ricordare, nella data esatta della sua nascita. Il nostro Archivio storico dell'atletica italiana "Bruno Bonomelli" ha cercato di fare la sua parte e offre qui di seguito un articolo preparato da Alberto Zanetti Lorenzetti, uno scritto documentato, preciso, circostanziato, come nello stile del nostro socio.

E come introduzione allo scritto, prima lasciamo spazio alle immagini. Nella prima a sinistra, una formazione calcistica, forse di un istituto scolastico bresciano: Filiput è il primo da destra, nella fila in basso. Ma la curiosità è la presenza di Sandro Calvesi (il terzo da sinistra in piedi), che di Filiput fu allenatore negli anni trascorsi a Brescia. Accanto la copertina della rivista «Lo Sport» che usciva negli anni '50: un cambio di staffetta 4x400, con Filiput che riceve il testimone da Ottavio Missoni, entrambi accasati alla Società Ginnastica Gallaratese. Pose quasi da divi dello schermo per Pino Dordoni e Armando Filiput, due delle medaglie d'oro per l'Italia ai Campionati d'Europa; la terza fu vinta da Consolini. Da ultimo, un ritaglio della «Gazzetta del Lunedì» datato 28 agosto 1950



Nel 1923 il paese dove ebbe i natali Armando Filiput si chiamava Ronchi di Monfalcone, ma solo due anni dopo, nel 1925, il nome cambiò in Ronchi dei Legionari a ricordo di quanto lì avvenne il 12 settembre 1919, quando un febbricitante Gabriele D’Annunzio si mise alla testa dell’autocolonna che diede il via a quella che oggi viene ricordata come l’«impresa di Fiume».

Siamo nel Friuli o in Venezia Giulia? Bella domanda. Guardi Wikipedia e ne esci più confuso di prima e allora passi alla Treccani, ma non risolvi la questione. Il fatto è che, come ci insegnavano alle elementari (ma lo fanno ancora oggi?) esiste una geografia fisica ed una politica. E questo aumenta la confusione tirando in ballo lo storico Friuli orientale e i confini delle provincie della regione dalla fine della Grande guerra ad oggi. Però ci salva la Bisiacaria, termine che identifica un’area che comprende otto comuni, uno dei quali è Ronchi. Il dialetto locale è il bisiaco, idioma derivante dalla fusione del veneto con un substrato originario di tipo friulano. E questo ci spiega perché Ottavio Missoni, al cui linguaggio appartenevano gli influssi del veneto zaratino, lo chiamava “Armando el furlan”.

Siamo in una regione, il Friuli Venezia Giulia, dalla grandissima fertilità sportiva. Ma anche se ci limitiamo solo alla Bisiacaria troviamo Monfalcone con tutta la sua tradizione nella vela e nel canottaggio, e Gradisca con i fasti del dopoguerra nel basket. Ed è proprio dividendosi fra pallacanestro, calcio e atletica che inizia l’avventura sportiva di Filiput. Fino al 1942 non ha una preferenza particolare fra le tre discipline e solo quando sperimenta i 400 ostacoli, distanza che in breve tempo lo proietta fra i migliori ostacolisti italiani, la scelta cade sull’atletica. Ha diciotto anni e da pochi mesi indossa i colori dell’U.G. Goriziana. La stagione è un entusiasmante crescendo di successi aggiudicandosi il titolo nazionale dei Seconda Serie, dei Prima Serie, della Gioventù italiana del Littorio, il Premio Quadriennale 44 (Q44) ed infine dei Terza Serie.

In parte lo favorisce il fatto che il miglior specialista italiano, Ottavio Missoni, è assente perché è stato inviato a combattere in Africa settentrionale, ma un avvio di carriera così brillante non s’era mai visto prima. Più che naturale, quindi, il suo esordio in azzurro contro la Svizzera il 23 agosto. Termina l’annata da protagonista, ma in quella successiva è in totale balia degli eventi storici: il 25 luglio cade il fascismo, seguito dall’armistizio dell’8 settembre e dall’occupazione tedesca di Trieste. L’attività sportiva è praticamente nulla e il rischio di essere arruolato per andare a combattere è fortunatamente evitato inserendosi nell’organizzazione della Todt. E non è stata propriamente una passeggiata.

Torna Missoni, cominciano le sfide

Subito dopo la guerra torna a praticare la pallacanestro giocando con l’Itala di Gradisca d’Isonzo ed il livello tecnico è di prim’ordine. Come pure torna a frequentare i rettangoli di gioco del calcio. Riprende l’atletica nel 1946 con l’Edera Trieste, ma non con quella intensità che gli permetterebbe di partecipare agli Europei di Oslo; riesce però ad ottenere la convocazione in Nazionale per l’incontro del 26 settembre. Sempre contro la Svizzera, sempre al Letzigrund di Zurigo, ma stavolta la prestazione è deludente. Di conseguenza per gli imminenti Campionati nazionali non è certo il favorito, e invece sulla pista dell’Arena di Milano torna in possesso della maglia tricolore con il confortante tempo di 54”3.

Anche il 1947 sembra spianargli la strada verso le Olimpiadi dell’anno successivo: dall’attività sportiva universitaria arrivano ottimi risultati in Italia e buone prestazioni ai Giochi mondiali dei goliardi di Parigi. Iniziano le sfide con il rientrante Missoni, che prevale agli Assoluti di Firenze e nell’incontro all’Arena contro gli ungheresi, dove ad Armando non basta portare il primato personale a 54”1 per avere ragione del dalmata, che con questi risultati relega l’avversario ad un ruolo di secondo piano che anche il 1948 purtroppo conferma.

È sul punto di ritirarsi, ma l’incontro con Sandro Calvesi con la conseguente decisione di affidarsi alle cure del tecnico lombardo dà una svolta alla sua carriera. Non solo cambia l’approccio alla tecnica di allenamento, ma addirittura si trasferisce a Brescia, la città del suo nuovo tecnico, vestendo i colori del C.S.I., la squadra di diversi suoi compagni di Nazionale, Tonino Siddi e Gino Paterlini su tutti. Gli viene trovato anche il posto di insegnante di educazione fisica al Liceo scientifico statale Calini e può anche monetizzare la sua esperienza di giocatore di basket allenando la Pallacanestro Marzotto di Manerbio, grosso centro della Bassa bresciana, all’epoca noto per l’industria di abbigliamento e per essere la base logistica di Enzo Ferrari in occasione delle edizioni della Mille Miglia.

Il lavoro con Calvesi inizia da subito a dare risultati. Nel 1949 riprendono le convocazioni in maglia azzurra (l’ennesimo Svizzera – Italia, Ungheria – Cecoslovacchia – Italia e Italia – Belgio) gareggiando spesso anche nella staffetta del miglio sia in Nazionale che con la società lombarda con la quale ottiene il titolo nazionale assieme a Siddi, Paterlini e Colosio (il meno conosciuto del quartetto, ma vincitore del Campionato italiano dei 3.000 siepi nel 1946 e presente in Italia – Belgio nel 1949). Grazie alla vittoria nei 400 ostacoli agli Assoluti ribadisce a Missoni che la leadership nazionale è tutt’altro che scontata. Infine, la stagione si chiude con il miglioramento del primato italiano dei 200 ostacoli, per venti anni (Bruno Bonomelli sottolinea che sono passati 7.420 giorni) detenuto da Luigi Facelli.

1950, annus mirabilis

La progressione continua anche nel 1950. Il 25 giugno torna a battere Missoni con un tempo, 52”9, che lo porta ad avvicinarsi sempre più al record italiano. Ma prima, però, demolisce la miglior prestazione nazionale dei 200 ostacoli correndo in 24”2, mezzo secondo in meno rispetto a quanto fatto l’anno precedente. Il Campionato europeo si disputa a Bruxelles e regala all’Italia tre titoli grazie a Pino Dordoni, Adolfo Consolini ed al nostro Armando. Un bel ricordo dell’impianto belga che viene distrutto il 29 maggio 1985, quando la follia del pseudo-tifo calcistico costa la vita a 39 persone, 32 delle quali italiane. Filiput corre la finale in 51”9 migliorando ulteriormente il record tricolore, già portato a 52”0 durante le batterie), conquista la medaglia d’argento con la 4x400 metri e, dopo aver vinto a Torino gli Assoluti in 51”8, con il primato mondiale delle 440 yards stabilito l’8 ottobre a Milano tocca l’apice della carriera agonistica. Per inciso va ricordato che con il tempo di passaggio ai 400 metri, 51”6, è anche eguagliato il primato europeo del giro di pista con barriere. L’ulteriore abbassamento della miglior prestazione nei 200 ostacoli – corsi in 24” netti a Lione il 15 ottobre – conclude una irripetibile stagione che lo vede protagonista anche negli incontri contro la Svizzera e la Jugoslavia.

La tumultuosa progressione dell’atleta di Ronchi si arresta nel 1951, anno che comunque gli porta il titolo nazionale dei 400 ostacoli e della 4x400 metri, la partecipazione a due incontri in azzurro ed il successo ai Giochi del Mediterraneo.

Il 1952 inizia con un colpo di scena. Armando abbandona il club di Calvesi (nel frattempo diventato Atletica Brescia 1950) provocando numerose polemiche a proposito del comportamento della sua nuova società, la S.G. Gallaratese, rea di rastrellare in giro per l’Italia i migliori atleti, anche quelli di cui non ha bisogno per il Campionato di società, per l’appunto come Filiput, dato che nel sodalizio varesotto già milita Missoni. Ai Giochi olimpici è sesto, stesso piazzamento dell’amico-avversario zaratino quattro anni prima a Londra, e non va oltre la batteria con la staffetta 4x400 metri; si ripete vincendo gli stessi titoli nazionali dell’anno prima ed è schierato nella rappresentativa azzurra che si confronta con gli elvetici e gli jugoslavi. È una discreta annata, ma che delude le speranze che si erano accese due stagioni prima.

Seguono le vittorie ai Campionati italiani del 1953 e 1954 e una serie di presenze in Nazionale che lo portano ad indossare la maglia azzurra complessivamente per 22 volte. L’inserimento nella semifinale più forte gli impedisce l’accesso alla finale degli Europei del 1954 (con il tempo fatto registrare, se avesse corso nell’altra semifinale avrebbe superato il turno) e nel 1955 sale sul terzo gradino del podio dei Giochi del Mediterraneo di Barcellona. Prosegue ancora per un anno, poi il ritiro. Come giustamente rileva Massimiliano Oleotto nel libro “Armando Filiput, oltre ogni ostacolo” gli ultimi anni di attività non sono caratterizzati da un peggioramento delle prestazioni. Il suo rendimento è rimasto costante, ma il mondo va avanti e gli altri migliorano. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, Filiput prosegue con l’insegnamento dell’educazione fisica e allena sia atleti che calciatori fino al 30 marzo 1982, giorno del suo prematuro decesso causato da una neoplasia. Nella sua Ronchi dei Legionari il suo ricordo è affidato al Palazzetto dello sport, che gli è stato intitolato, come pure gli è dedicata la mostra inaugurata all’Auditorium comunale lo scorso 13 dicembre intitolata “Armando Filiput, 100 anni di storia, oltre ogni ostacolo”.