
"Dopo una stagione massacrante e, di conseguenza, mediocre, il bresciano Gino Paterlini si presentò con grave ritardo alle gare del 1946: ma Calvesi, suo allenatore, sapeva dove arrivare: Paterlini scese in pista a Milano il 19 maggio 1946 e battè Lanzi, il grande Lanzi, in 48"6. E nella staffetta 4x400, partito con quindici metri di svantaggio sul rivale, lo riprese a mezzo dell'ultimo rettilineo con un inseguimento memorabile, lo staccò di prepotenza negli ultimi metri. Tre cronometri testimoniarono alla fine della classe di Paterlini: due 47", un 46"9. Da allora Gino non ha più reso secondo le sue possibilità se non agli assoluti del 1947 (48"7) e contro l'Ungheria (48"8): motivi di lavoro - sappiamo - e però suo padre gli ha assicurato tre mesi di vacanza in vista delle Olimpiadi. Allora rivedremo Gino fra i primi quattrocentisti europei, il Coppi della 4x400". Anche in una notizietta a corredo di una foto si può fare del bello scrivere. Altri tempi, tempo di Gianni Brera - e non solo lui - quando le vittorie non erano «da urlo», «alla grande», quando gli atleti non erano «cannibali», e si chiamavano con il loro nome e non con questi stucchevoli diminutivi, il Bez, il Pecco, o Ciccio Formaggio, o altre asinerie di questo tipo. Era giornalismo sportivo, colto, elegante, alfabetizzato, anche in una didascalia. Oggi, troppo spesso, la lingua italiana, scritta o parlata, è un optional.