Giuseppina Leone, una ragazza torinese alle Olimpiadi di Roma '60
Lo scorso 21 dicembre abbiamo fatto gli auguri alla signora Giuseppina Leone, in occasione del suo compleanno. Chi è stata Giuseppina Leone nella vicenda, poco più che centenaria, dell’atletica leggera italiana praticata dalle donne? La risposta la affidiamo a Guido Alessandrini, genovese emigrato a Torino per mettere la sua competenza e la sua serietà al servizio – tre decenni, più o meno – del quotidiano “Tuttosport”. Conclusa la carriera nella carta stampata – la morente, oggi, carta stampata – Guido ha traslocato in una postazione televisiva per affiancare il telecronista Franco Bragagna, il quale in fatto di precisione e competenza non cede un millesimo di secondo a nessuno. Una solida coppia di professionisti al servizio di una televisione di Stato talvolta un po’ spannografica. Dunque, Guido Alessandrini a nostra richiesta ha risposto con la disponibilità di sempre: gli abbiamo chiesto di poter pubblicare quanto da lui scritto all’interno di un libro pubblicato nel 2022 dall’editore Absolutely Free Libri, nel quale, partendo dai successi dei velocisti italiani ai Giochi Olimpici di Tokyo 2021, c’era spazio per una rivisitazione “dell’Italia che corre”. Giuseppina Leone ha avuto, in quelle pagine, una lusinghiera, meritata riscoperta. Il testo è da libro, non da giornale, quindi corposo. Lo abbiamo diviso in varie puntate. Alla lettura del quale lasciamo il nostro lettore, non prima di aver ringraziato l’amico Guido Alessandrini.
Nella foto, Giuseppina Leone a colloquio con il commissario tecnico Giorgio Oberweger. Foto scattata all'interno dello Stadio Olimpico di Roma (ripresa dalla rivista "Atletica", marzo 1981, l'immagine corredava un articolo-intervista firmato da Renato Funiciello)
Marcell Lamont Jacobs non è stato il primo italiano ad entrare in una finale olimpica dei 100. L’apripista, 61 anni prima, è stata una signora torinese di cui, purtroppo, si ricordano in pochi anche se Giuseppina “Giusy” Leone arrivò fino al bronzo ai Giochi di Roma 1960. Ma, e anche questo è nella memoria di pochi, era già stata quinta a Melbourne 1956 con l’aggiunta dei 200 romani e di staffette di cui parlerà lei stessa più avanti. Immensa e praticamente dimenticata, pioniera straordinaria ma quasi inosservata perché quelli erano i giorni di Livio Berruti - torinese anche lui - però padrone dei 200 (il 3 settembre, appena 24 ore dopo lei) con un oro che oscurò chiunque si trovasse in zona. Livio ma anche Wilma Rudolph che, a parte l’abbondante letteratura pseudo-rosa dell’epoca a proposito della presunta storia d’amore fra i due, si era presa i 100 prima di azzannare anche i 200 diventando “la gazzella nera” ma anche la miracolata (miseria e risurrezione: la guarigione dalla polio, lei ventesima di 22 figli cresciuti in Tennessee ma adesso bellissima, delicatissima, leggerissima con quella falcata che era armonia pura e quel sorriso che avrebbe potuto portarla comodamente fino a Hollywood) e quindi ricca di grazia e per conseguenza perfetta per entrare nelle storie e nell’immaginario del mondo intero.
Se Giusy avesse trovato occhi più attenti, avrebbe potuto diventare uno straordinario personaggio, vero motore per la svolta. Non soltanto dello sport ma di tutta l’Italia al femminile. Ci stava provando Lea Pericoli con le sue vittorie ma soprattutto con gli spericolati e, per l’epoca, sconvolgenti completini creati dallo stilista inglese Ted Tinling (piume di cigno, petali rosa, gonnelline in visone o vestitini tutti d’oro) e che adesso sono esposti al Victoria & Albert Museum di Cromwell Road, a Londra, a sottolineare il senso che ebbero a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Per vedere Paola Pigni e Novella Calligaris sul podio olimpico ma anche – loro così leggère e all’apparenza fragili ma in realtà implacabili nel percorrere strade e acque – capaci di traslocare l’universo femminile in un’altra dimensione, s’è dovuto aspettare il 1972 dei Giochi di Monaco di Baviera. Era, quell’edizione romana, un’Olimpiade in cui l’atletica femminile ammetteva soltanto dieci discipline (ora sono 23, cioè praticamente le medesime degli uomini) e che aveva nella memoria e negli archivi un’unica vera impresa ovvero quella di Ondina Valla con l’oro negli 80 a ostacoli di Berlino 1936 e l’aggiunta degli argenti – anche quelli totalmente rimossi – di Edera Cordiale (disco) e Amelia Piccinini (peso) a Londra 1948. In realtà le donne d’Italia furono anche le prime a correre una finale con la 4x100 (Amsterdam 1928).