Intermezzo culturale. Lasciate da parte le nostre cronachette d'antan (ma non ve ne libererete tanto presto...) ecco un contributo che alza il tono del nostro sito. Qualcuno aveva scritto che sarebbe bello se i nostri soci facessero appello ai loro ricordi personali, alle loro esperienze, alle loro conoscenze di atleti del passato, oppure a quelle di altri - allenatori, dirigenti, giornalisti, familiari di campioni di un tempo - per raccontarci delle «storie», anche solo di respiro locale, che arricchiscano il nostro sapere attorno allo sport che ci appassiona. Quella di oggi non potrebbe essere più personale. Ce la racconta Augusto Frasca, uno dei soci fondatori dell'A.S.A.I.. Date retta: vale la pena leggerla...ma come diceva spesso alla fine dei suoi sermoni ai fedeli don Alessandro Capanni, fratello del nostro mai dimenticato Aldo, "io ve l'ho detto, voi fate come volete".
*****
L'antefatto. Con toni concitati ai limiti dell'affanno, peggiorati dalla pessima amplificazione all'interno della vettura, a nome dell'avvocato Montezemolo una voce femminile chiedeva alle agenzie di trasporto cittadine la disponibilità di una vettura di rappresentanza da spedire immediatamente all'hotel Excelsior, a condizione tassativa che l'auto fosse dotata di perfetta aria condizionata e di una lunga serie di complicati strumenti tecnologici che è noioso ripetere. Era il mese di giugno del 1990. Roma era inchiodata all'evento che aveva fatto convergere attorno ad una palla ipersponsorizzata le attenzioni dell'orbe terraqueo. Fra i tanti rilevatori di quel singolare grido d'aiuto, bloccato in un taxi a cinquecento metri dalla sede televisiva di via Teulada, Beniamino Placido da Rionero in Vulture, giornalista, scrittore, saggista, epigrammista e critico televisivo sulle pagine accidentate della Repubblica. Troppo sapido lo spunto, troppo forte la notorietà del personaggio coinvolto perché dall'invidiabile ironia del basilisco non nascesse il giorno successivo, sulle pagine del quotidiano romano, un salace commento. Che ebbe le sue conseguenze.
Lontano dai lidi atletici, con il testimone nelle solide mani del futuro presidente dell'ASAI, soggiornavo da un anno, con diffusa applicazione e dignitosi compensi, nelle sfere informative di Italia 90. Fu così che Montezemolo, vertice dell'intera struttura organizzativa, non trovò di meglio che affidare al sottoscritto tempi, e soprattutto modi, per contattare l'autore della punzecchiatura. Cosa che feci, probabilmente in modo apprezzabile, dal momento che Placido accolse con interesse un invito a colazione per il giorno successivo al Centro stampa del Foro Italico. L'incontro avvenne, e fu l'inizio di un'eccellente conoscenza reciproca. Circa un anno dopo, discettando di sport, avendo compreso quale fosse la mia reale inclinazione, il mio interlocutore confessò di come fosse digiuno dell'atletica di grande livello. Abbozzai un rapido ripasso, e per un approccio confidenziale alla disciplina gli suggerii di trascurare per una sera ballerine e tribune politiche e approfittare del Golden Gala, in scadenza di lì a qualche giorno. Promise di farlo. Lo fece.
Due giorni dopo il meeting, il 19 luglio, «la Repubblica » uscì con un lungo corsivo di cui riportiamo i punti più significativi, iniziando dal titolo, che è un manifesto: L'atletica è cultura.
Grande serata di cultura giovedì sera su Raidue. Chi ha sottomano il «Radiocorriere» dirà: non è vero. L'altra sera su Raidue c'era il «Golden Gala» di atletica dall'Olimpico di Roma. Ѐ appunto a questo che intendevo riferirmi. Se c'è qualcosa che fa pensare all'esercizio intellettuale, questa cosa è l'atletica. Gli atleti – che vivono come i monaci della Tebaide, come degli asceti – debbono continuamente studiare il proprio corpo, la resistenza all'attrezzo, le leggi del vento, la psicologia degli avversari. Per superarli. Ma soprattutto, superarsi. Se non è cultura, questa. Il grande rinnovamento – culturale – della nostra stampa sportiva, è avvenuto nel dopoguerra. Proprio per merito dell'atletica. Prima si scriveva che il tale atleta aveva «lanciato il cuore oltre l'ostacolo» Oppure, «al di là del filo di lana». Adesso il filo di lana non c'è più. C'è il fotofinish. C'è voluto il fotofinish, l'altra sera, per accertare che aveva vinto Jackson (per un capello) e non Foster, come era sembrato a tutti, nei 110 ostacoli. Il grande rinnovamento della nostra cultura sportiva, dicevo, è avvenuto nel dopoguerra quando gente come Gianni Brera si è messa a studiare l'atletica. Ha stabilito, subito, che per vincere non basta un cuore da lanciare. Ci vuole anche il cervello… L'atletica è bella in televisione perché ti fanno vedere e capire tutto, perché tra una gara sui cento e una sui quattrocento, ti fa vedere il salto con l'asta. La più fantascientifica delle specialità atletiche. Il saltatore con l'asta è come un alchimista. Deve saper amalgamare disparati elementi. Deve essere veloce nella rincorsa come un velocista, forte come un lottatore, agile come un acrobata, ispirato come un cantautore quando si gira in aria (a 5,80 di altezza il russo Yegorov, mercoledì sera) per effettuare il suo «valicamento». Ma certo se sei allo stadio (sono indeciso, come vedete, nelle mie preferenze) puoi ammirare e incoraggiare da vicino la giamaicana Merlene Ottey tutta vestita di giallo, che corre i cento metri in 10.87. Vive a Roma da un anno, la Ottey, e il pubblico romano la ama, l'ha già adottata, un pubblico che è andato a vederla – ed a sostenere – all'Olimpico e che ha rinunciato alla visione delle gambe – non meno lunghe, non meno illustri – della Parietti, che si esibiva nel frattempo su Raitre… Quanti keniani, quanti africani nell'atletica internazionale. A Tokyo per i prossimi mondiali avremo «Antibo contro l'Africa», è stato detto. «Quid novi ex Africa», si chiedevano gli antichi, saggiamente. Che cosa sta per arrivare di nuovo, dall'Africa? Una riunione di atletica può servire anche a questo. A rammentarci, senza risvegliare in noi indebite ostilità, che l'Africa è vicina. Ѐ veloce, velocissima. Se non è cultura, questa.
Qualcuno mise da parte l'articolo e lo fece stampare sul numero agosto/settembre 1991, anno 58, della rivista «Atletica».